Compiti per casa sì, compiti per casa no?

Compiti sì, compiti no, questo è il dilemma! Citazioni letterarie a parte, la questione dei compiti per casa è sempre aperta. Ci sono insegnanti “contro” (pochissimi, da una stima basata su testimonianze raccolte nel mio vissuto personale) e altri assolutamente favorevoli. Mi concentrerò prima su questi ultimi. Questo tipo di docenti afferma che il compito per casa sia essenziale per il consolidamento degli apprendimenti. A casa si applica o si rafforza ciò che si è imparato a scuola. Questo sarebbe vero al 100% se non entrasse in gioco una serie di variabili che alterano inevitabilmente l’affermazione. Negli anni ho potuto ascoltare dei postulati veramente interessanti a riguardo, dal punto di vista pedagogico e didattico. In sostanza moltissimi insegnanti ritengono che il generale livello di apprendimento risenta enormemente del mancato svolgimento dei compiti per casa. Tra le cause, troviamo:

  •  scarso impegno del bambino/a o ragazzo/a
  • famiglia assente o poco attenta ai bisogni del figlio/a (in questo punto includo anche le famiglie non italofone)

Si apre, dunque, una parentesi interessante. Per quanto riguarda lo scarso impegno, è indispensabile approfondire sul perché ci sia una risposta quasi assente da parte del bambino/a e, allo stesso tempo, occorre osservare se, per caso, lo stesso atteggiamento sia tenuto o meno in classe. Per fare questo tipo di analisi, proporrei un piccolo esperimento. Domandiamoci perché non abbiamo partecipato con trasporto all’ultimo corso di formazione o aggiornamento. Le cause possono essere state tante: stanchezza fisica o mentale; il formatore parlava in modo monotono e noioso; i contenuti erano troppo complessi. Solo per citarne alcuni. Pensiamo, ora, ad una nostra risposta estremamente attiva ad un corso di formazione. Possiamo trovare elementi antitetici a quelli citati poco fa: eravamo carichi e pronti per affrontare l’evento; il formatore comunicava in modo dinamico; i contenuti erano alla nostra portata; gli strumenti usati durante il corso sono stati stimolanti. Questi due esempi mi sono serviti per dimostrare che non è responsabilità esclusiva dello studente il grado di impegno e di interesse che dimostra nei confronti delle richieste della scuola, ma anche quest’ultima ha il dovere di adattarsi alle esigenze degli alunni e offrire una serie di attività che concorrano ad una risposta positiva da parte di chi apprende. A questo punto, il docente che vorrà chiedere un approfondimento o un allenamento aggiuntivo a casa, si ritroverà compiti svolti al massimo delle potenzialità di ognuno. Andiamo al capitolo “famiglie”. Sono fermamente convinta che le famiglie abbiano un ruolo importantissimo nel comunicare ai figli l’importanza della scuola, ma non di certo possono o devono sostituirsi ai docenti. Siamo proprio sicuri che tutte le famiglie del nostro contesto educativo siano in grado di sostenere i figli nel percorso di apprendimento? Molti docenti pretendono che a casa i genitori si mettano seduti a tavolino coi figli e facciano i compiti (specie nei primi anni di scuola primaria, anche se questa cosa poi, in alcuni casi, si protrae in modo anche eccessivo) o quanto meno che “diano un’occhiata” a quello che i bambini fanno, magari correggendo. Qui entrano in gioco molte variabili, tra cui l’impostazione didattica che una certa attività vuole che, magari, è in contrapposizione con quella conosciuta dal genitore (tipico esempio: “Ma ai miei tempi la divisione non si faceva così”). Ma questo è il male minore. Pensiamo a quelle famiglie straniere, non italofone. Come si fa a pretendere che seguano i loro figli se parlano a malapena un italiano legato alle funzioni base per poter vivere? 

Il compito per casa aumenta le diversità tra i bambini. Chi ha maggiori possibilità (sociali, culturali ed economiche), riuscirà a restituire i compiti ben fatti e proseguirà senza particolari intoppi il proprio percorso di apprendimento. Chi, al contrario, queste facilitazioni non le ha, vedrà il suo percorso irto di ostacoli e vivrà la scuola, e se stesso/a, in modo poco felice e soddisfacente. Il compito per casa deve avere una particolarità essenziale: deve poter essere fatto in completa autonomia. 

Veniamo ai docenti “contro il compito per casa”. Diciamo che tra i due “schieramenti”, io prendo parte tra questi ultimi. Tendenzialmente non assegno compiti. La cosa sorprendente è che alcuni bambini, li fanno senza che io abbia chiesto alcunché. Se proprio devo assegnare un’attività, devo essere sicura che, in classe, tutti i bambini abbiano risposto positivamente. Richiedere un compito ad un bambino/a che non comprende fino in fondo cosa stia facendo, concorre solo a rafforzare il suo status quo. 

Quindi, se non vogliamo più sentire che un bambino /a non progredisce perché, oltretutto, non fa i compiti a casa, assicuriamoci di:

  • offrire una pluralità di strumenti in modo da poter andare incontro alle unicità del nostro contesto classe;
  • assicurarci che i bambini abbiano risposto in modo positivo in classe per poi assegnare qualche attività per casa;
  • puntare su ciò che interessa di più (ricordate l’esperimento di prima? Quanti di voi ripeterebbero l’esperienza con il formatore o formatrice noioso/a? E quanti, invece, tornerebbero volentieri da chi ci ha emozionato?).

Piccolo appunto su tempo scuola. Avete mai provato, come docenti, a fare servizio per otto ore consecutive? A me sì, è capitato, per urgenze legate alla mancanza di docenti. È stato uno stillicidio di energie. Sono arrivata alle 16.00 oltremodo stanca. Pensiamo ai bambini, che lo fanno tutti i giorni. Mi stupisce che ci siano insegnanti che pretendano compiti, anche durante la settimana. A volte ho sentito dire: “Si tratta solo di una letturina” oppure “Sono solo due operazioni”. Torniamo a chiederci se, dopo otto ore di scuola, abbiamo l’energia necessaria, fisica e, soprattutto, mentale per affrontare anche altri soli quindici minuti…il tempo di una letturina, ripetuta due volte. Anche il fine settimana dovrebbe essere periodo di riposo, dopo quaranta ore passate a scuola. Non trovate?

In ultimo, il compito per casa, mano a mano che i bambini crescono, può diventare una risorsa per la socialità. La scuola deve fornire le basi per permettere ai bambini e ai ragazzi di studiare in gruppo. Apprezzo moltissimo la tecnica della “conferenza”. Assegniamo un compito a settimana o ogni due settimane, in cui gruppi di ragazzi organizzano delle vere e proprie tavole rotonde su diversi contenuti: geografia, scienze, matematica…magari anche interconnessi tra loro. Il lavoro a casa, in questo modo, diventa funzionale a qualcosa che si sta creando con gli altri e per gli altri. Sicuramente è molto più stimolante di: leggi 10 volte pag, 81.

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