A proposito di verifiche…

Qualche tempo fa, ho progettato, insieme ad altre persone, un gioco di robotica contro il bullismo. Nel momento in cui è stato ideato, si è pensato a tutta una serie di dinamiche che possono insorgere tra bambini nel momento in cui la relazione non è armonica e comporta squilibri che chiamano in causa emozioni negative. 

Come funziona il gioco? Dei gruppi di bambini hanno a disposizione una piattaforma con immagini che rappresentano le principali emozioni, alcune reazioni (lotta fisica, reazione verbale, isolamento…) e anche alcuni spunti per poter riuscire a risolvere una situazione difficile (immagine raffigurante gli insegnanti, gli amici, la famiglia…). Il robottino viene messo sulla piattaforma; un bambino (per ogni gruppo) estrae una carta gioco, su cui legge delle istruzioni di programmazione del robot e delle domande. Il robot viene programmato e si sposterà fino a fermarsi su una casella emozione. Il bambino/a dovrà spiegare perché il robot si sente in quello stato. Successivamente, grazie ad altre istruzioni, il robot andrà a posizionarsi su una casella che rappresenta la reazione all’emozione provata. In ultimo, viene chiesto al bambino/a di trovare una soluzione possibile tra i vari elementi che trova sul cartellone. 

Cosa c’entra tutto questo con le verifiche? Semplice. Quando ho avuto modo di vedere quello che può essere considerato il collaudo del gioco, ho ascoltato i bambini, li ho visti giocare e interagire. Alla fine di questa esperienza, ho voluto leggere i loro appunti e mi sono accorta di una cosa gravissima. 

Un bambino o bambina ha scritto che il robottino si vergogna perché ha sbagliato un’intera verifica. Ho letto qualcosa di ancor più tremendo: DOC (nome del robot) è triste perché i genitori lo hanno sgridato perché la verifica è andata male. 

Attraverso un gioco, ideato per aiutare i bambini a comprendere processi relazionali in caso di bullismo, è entrata in gioco la scuola, letteralmente “a gamba tesa”! È emerso il disagio emotivo che scaturisce da una richiesta della scuola. La verifica, quindi, non solo non è compresa come strumento per misurare le conoscenze rimaste in memoria, ma altera lo stato emotivo e gli equilibri relazionali in famiglia. 

Ritengo che queste due profonde dichiarazioni dei bambini siano la prova tangibile di un sistema scolastico che ha fallito in pieno. Non c’è educazione, né cura e, dunque, nemmeno crescita armonica. La verifica è un atto burocratico che illude docenti di ricevere risposte obiettive sullo stato dell’apprendimento dei bambini e dei ragazzi e pone, allo stesso tempo, alunni e studenti in uno stato emotivo non adeguato ad un contesto educativo. 

Abbiamo delegato alle verifiche (strutturate poi in un modo inadeguato e per niente capace di stimolare il bambino ad una rilettura del proprio operato, poiché il frutto del lavoro, poco o tanto che sia, viene controllato e giudicato dal docente) uno dei compiti più complessi di un insegnante, quello della valutazione. 

Si valuta in itinere. Si ascoltano i bambini e i ragazzi. Si osservano. Quando un bambino  dice (in classe seconda): “Maestra, mi dovevi dare 10 carte e io ne ho 7; ne mancano 3!” Che verifiche dovrebbe proporre l’insegnante allo stesso bambino/a? Una scheda piena di problemini insulsi in cui si chiede di risolverli utilizzando l’operazione corretta?

I più grandi neuroscienziati e psicologi dell’età evolutiva ci hanno sempre detto di osservare attentamente i bambini mentre giocano perché possiamo ricevere molte informazioni sul loro modo di ragionare e di interagire con il mondo esterno. Ma noi, no. Preferiamo le verifiche, magari a tempo (come i test standardizzati, che sono degli “amplificatori” delle reazioni emotive negative, dei veri e propri catalizzatori di sostanze come il cortisolo che pongono l’organismo in uno stato di stress). Gli stati emotivi che si innescano durante una verifica alterano processi naturali. 

Mi chiedo perché, nel 2022, ancora dobbiamo rifarci a strumenti del genere. Occorre rivedere il nostro approccio alla didattica. Montessori docet. La scuola deve predisporre tutta una serie di risorse dotate anche di una forma di autocontrollo da parte di chi le usa. L’insegnante è un regista: predispone un contesto adeguato alla scoperta, alla ricerca, allo sperimentare e al controllo di ciò che si sta imparando. Solo così avremo delle risposte genuine e autentiche su ciò che il bambino/a (o il ragazzo/a) sta strutturando dentro di sé. Se c’è l’intervento esterno (la verifica) si scatenano una serie di meccanismi che rendono il tutto fittizio e, come abbiamo visto, dannoso.

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